Il vecchio Proudhon

Pierre-Joseph Proudhon è stato un notevole pensatore dell'Ottocento francese, il cui destino è stato però quello di diventare una delle tante ombre di Carlo Marx. Infatti, Proudhon è uno di quei pensatori che furono criticati da Marx (e da Friedrich Engels) come afferente ad un "socialismo utopico" da distinguere da quello "scientifico" di cui era presuntamente portatore il marxismo (o quello che verrà definito tale, ché Marx notoriamente non considerava sé stesso "marxista"). 

In Italia, si tornò a parlare un po' di Proudhon negli anni '70, quando il discusso Bettino Craxi lo elesse a "capostipite" ideale del "suo" rinnovato Partito Socialista, proprio in contrapposizione alla storica nemesi, Marx, di cui veniva ora criticata l'eredità in polemica col PCI. In realtà, il "proudhonismo" del PSI craxiano era chiaramente strumentale, funzionale solo alla polemica col PCI berlingueriano: il partito di Craxi si avviava infatti all'adesione ad un mero capitalismo socialdemocratico e atlantico (e pesantemente inserito nel malcostume del regime partitocratico primorepubblicano, simboleggiato dalla "Milano da bere" dell'eterno yuppismo ove i "liberal-socialisti", e soprattutto Craxi in persona, iniziavano a stringere legami con il rampante Berlusconi che all'epoca peraltro si dichiarava socialista), con ben pochi legami concreti col mutualismo proudhoniano. 

Proudhon era nato in una famiglia dalle forte connotazioni religiose cattoliche. Negli anni della formazione perderà la fede, diventando irriverentemente irreligioso ed anticlericale, ma conservando sempre un retroterra di fondo "cristiano" e metafisico, molto lontano dal futuro materialismo socialista. La grossolana ripresa di un vago cristianesimo storpiato e appiattito sull'umanitarismo laico non sarebbe esclusiva di Proudhon, in ambito radicale (e invero al giorno d'oggi, purtroppo, anche cattolico), ma a differenza di costoro il Nostro era profondamente attratto, pur da "mangiapreti", dal cristianesimo anche nella sua dimensione metafisica, trascendente, teologica. 

"È sorprendente come all'origine di ogni problema politico e sociale, nonostante i tentativi di elusione, vi sia un problema teologico.
(Pierre-Joseph Proudhon, "Confessioni di un rivoluzionario")¹

Il socialismo di Proudhon era all'epoca definito anche "libertarismo", e la cosa oggi può stupire, soprattutto in America ove per "socialismo" s'intende il comunismo post-leniniano e per "libertarismo" s'intende ormai il più puro capitalismo laissez-faire. Ma allora, prima di Marx e del suo supposto "socialismo scientifico", i due termini erano sinonimi, ed andavano entrambi ad indicare l'impostazione di coloro che criticavano la società borghese post-rivoluzionaria immaginando una società libera ed equa. Sovente, effettivamente, la loro impostazione aveva dell'utopico, e Marx non aveva tutti i torti nel rilevarlo. Ma il loro romanticismo idealista era moralmente molto superiore alle tare del socialismo successivo, "scientifico" solo in un malinteso e antropologicamente errato senso positivistico. 

Proudhon era un sincero amico della libertà, ed in primis, infatti, era un nemico dello Stato, il futuro vitello d'oro del socialismo novecentesco (il cui obiettivo sarà una coercizione violenta in attesa della svolta socialista, mentre Proudhon era un "evoluzionista" spontaneo). Egli si definiva anzi senza riserve "anarchico", e fu il primo pensatore moderno ad utilizzare la parola "anarchia" con un connotato positivo. Per meglio dire, egli era un nemico dello Stato non tanto in quanto mera e naturale istituzionalizzazione di legami sociali (c'è chi ha fatto notare come l'archon indicasse in origine etimologicamente più l'attuale potere legislativo che non un generico "Stato"), da grande estimatore qual era d'altronde del diritto repubblicano romano, ma nella sua accezione moderna, burocratica, e soprattutto "democratica". 

A stupire a prima vista di Proudhon è proprio la sua anima fortemente antidemocratica, che può sembrare strana per un inalberatore della libertà e della giustizia sociale. 
Ma a stupirci siamo noi, uomini del Ventunesimo secolo, che abbiamo scordato la storia della parola e del concetto di "democrazia", che è in quest'epoca il vero vitello d'oro, l'unico sistema pensato come compatibile con la libertà e contrario alla dittatura. La quale è invece una sua degenerazione diretta, perlomeno quando diventa paradigma assoluto. Questo lo sapevano bene i pensatori classici, che Proudhon aveva ben presente, da Platone ad Aristotele².

Va da sé che con "democrazia", egli (come chi scrive) intende stigmatizzare il sistema democratico di massa moderno (piuttosto simile, nella sua degenerazione oclocratica, alla versione criticata dai grandi Greci), basato sulla grandi contrapposizioni partitiche e ideologiche affidate a leader demagogici (e sovente impreparati) che salgono al potere parlando alla pancia di una popolazione impreparata alle grandi questioni nazionali (o addirittura internazionali) da risolvere. Il tutto andando infine a costituire una oligarchia mascherata. La democrazia sarebbe tutt'altra cosa applicata invece a circoscritte e precise realtà locali e comunitarie, per risolvere in concordia le problematiche concrete della comunità prescindendo dalla lotta gnostica - direbbe Voegelin - tra grandi ideologie d'insieme. E va da sé che l'anarco-mutualista Proudhon, tanto avverso alla prima accezione di "democrazia", era il primo a sostenere la seconda (e noi con lui). Ma l'epoca moderna figlia delle grandi rivoluzioni borghesi ha partorito la prima, ormai unico paradigma politico accettato della civiltà occidentale. Egli ne fu un precoce avversario. 

Di seguito, ecco alcune citazioni di Proudhon sulla materia di cui stiamo parlando:

"La democrazia è l'idea dello Stato senza limiti."
"Soldi, soldi e ancora soldi: questo è il mantra della democrazia."
"La democrazia è molto più costosa della monarchia, e molto meno compatibile con la libertà." 
"La democrazia è l'aristocrazia dei mediocri."
"La democrazia altro non è che la tirannia della maggioranza e al contempo la preda più facile delle oligarchie del denaro e del potere."
"La democrazia è un'oligarchia che parla il linguaggio del popolo per conservare il proprio potere." 
"Ogni Stato [moderno-burocratico] è per sua natura annessionista, e la democrazia moderna è l'apoteosi dello Stato."

E la lista può continuare. 
Proudhon credeva in una organizzazione mutualista, sua elaborazione originale che tentava di delineare i tratti di un'economia di mercato libera e solidale, idealmente priva di ogni forma di coercizione statale e monopolistico-privata. Coloro a cui guardava erano le masse proletarie oppresse e sradicate che iniziavano a delinearsi quale soggetto storico chiaramente corposo, privato di ogni indipendenza sociale. Ma il suo messaggio è organicamente rivolto alla società tutta. Non era un capitalista non perché fosse contrario all'economia libera di mercato, ma proprio perché era favorevole, e sosteneva che il capitalismo moderno fosse in realtà monopolismo perenne, il primo ostacolo ad una vera economia libera. In esso, i proletari privati dei propri personali (e familiari, e cooperativi) mezzi di produzione (e cioè della propria proprietà), divengono alienati ingranaggi di una grande macchina impersonale di produzione, perdendo non solo la propria organica dimensione sociale ma anche il contatto diretto col prodotto del proprio lavoro. Non a caso sarà apprezzato dai "distributisti" del secolo successivo, da Hilaire Belloc nella sua critica impietosa dello "Stato servile". Il socialismo, abbandonati i sogni romantici dei Proudhon, era viceversa destinato a farsi "capitalismo di Stato"³. 

Nemico dell'amoralità e del materialismo, Proudhon aveva come pensatore anche alcuni elementi "tradizionalisti", fautore com'era delle antiche virtù patriarcali romane e contrario alle contestazioni della famiglia (di cui gli era chiara la naturale dimensione primaria in contrapposizione alle pretese dello Stato-padrone annessionista) che provenivano da certi ambienti nichilisti sociali propugnanti una sorta di individualismo atomista, e in parte dal medesimo Marx. Ruralista, criticò fortemente nella sua battaglia decentralista il fenomeno della urbanizzazione metropolizzatrice accompagnato a quello speculare della proletarizzazione di quel mondo contadino un tempo retto dalla piccola proprietà usurpata. Benché certo non un monarchico, come visto preferiva la monarchia alla democrazia, convinto che "l'autorità, che nella monarchia è il principio dell'attività di governo, in democrazia è il fine degli uomini di governo". Di più. Le parole dell'anarchico tradiscono una malcelata ammirazione per l'antico ethos rapportato al moderno economicismo utilitario: "L'uomo che lavora per consolidare la propria dinastia, che costruisce per l'Eterno, è da temere ben meno del parvenus ansioso di arricchire sé stesso per futili aspirazioni sociali fini a sé stesse". Ugualmente forte e puntuale la critica a Rousseau ed al giacobinismo, accusati di un astrattismo che ha condotto alla concezione dello Stato paternalista e usurpatore, altra faccia del servaggio anonimo prodotto dal capitalismo industriale privato. 

"Addio Lugano bella, oh dolce terra pia..."
(Pietro Gori)

Nel 1846, Marx scrisse il saggio "Système de contradictions œconomiques ou Philosophie de la misère", pregno di attacchi forti e personali a Proudhon. Ma il grande francese non rispose all'attacco ad personam, per una cavalleria di fondo ma anche per la consapevolezza di trovarsi su un'altra linea d'onda rispetto al collega di Treviri, alle cui critiche era sterile rispondere sullo stesso campo. Il mutualismo proudhoniano, pacifico e romantico, scomparirà, rimpiazzato dall'anarchismo barricadero, bombarolo, violento e insurrezionalista idealmente incarnato dal russo Michail Bakunin (un altro critico feroce delle concezioni di Proudhon, definite "ridicole", "liberali", "piccolo borghesi" e, soprattutto, moralmente legate esplicitamente alla Bibbia e al diritto romano), che ripudierà del proudhonismo (di cui pure recuperava l'idea del federalismo) proprio soprattutto la valorizzazione dell'individuale artigiano indipendente, in favore di una concezione collettivista e basata, come quella marxista, sulla teoria della lotta di classe. 

Sarà lui il grande rivale di Marx nell'ambito della Prima Internazionale del 1864, che sancirà la definitiva eclissi del proudhonismo. Negli ultimi anni, Proudhon subirà un nuovo attacco, stavolta da parte degli hegeliani di sinistra seguaci del materialismo di Feuerbach. L'anziano anarchico, che conduceva una vita ascetica e solitaria, abbandonato l'antico polemismo anticlericale si troverà a difendere dai fauerbachiani la posizione spirituale incarnata dalla religione tradizionale e, segnatamente, una peculiare posizione metafisica ed antimaterialista avvicinabile in buona parte a quella che sarà di un Pascoli⁴. Decisamente insomma, si sarà capito, un pensatore pregno di sorprese per chi lo voglia riscoprire, sottraendolo finalmente ai margini intellettuali cui è stato relegato. 

Tutto ciò detto, la dottrina in questione presenta anche tanti punti deboli. L'errore fondamentale di Proudhon fu quello di misconoscere in ultima analisi la natura antropologicamente corrotta dell'Uomo, il peccato originale in termini schiettamente teologici. I limiti derivano non solo da una concezione antropologica pelagiana (la cui causa remota è l'illuminismo francese naturalmente, e che lo porta ad un chiaro semplicismo utopico in certe delle sue proiezioni sociali), ma anche a priori da una certa confusionarietà dottrinale (incorre ad esempio nella comune confusione di concetto tra autorità e potere) del suo sincero impeto passionale. L'autore di queste poche righe sente di condividere, a suo modo, il romantico e vibrante ideale libertario e comunitario ad un tempo del pensiero proudhoniano. Ma conscio di talune fondamentali verità che egli ignorava, non ne condivide certe illusioni. 

Note
1) Un certo interesse del mondo cattolico per la figura di Proudhon è un curioso fenomeno che inizia già nell'Ottocento. Tra i nomi illustri, lo citano almeno Juan Donoso Cortés (Saggio su cattolicesimo, socialismo e liberalismo) e Charles de Montalembert (Degli interessi cattolici nel secolo Diciannovesimo). Vedi soprattutto Charles Péguy ("Proudhon"), Henri de Lubac ("Proudhon et le christianisme") e Erik von Kuehnelt-Leddihn ("Leftism"). Di quest'ultimo e nella medesima opera è la convinzione per cui "Every true genuine rightist has a certain 'anarchist' mind and a soft spot for anarchist idealism". Nel nostrano Leo Longanesi (come in altri esempi meno vistosi) si è manifestata questa verità con particolare chiarezza. 
2) Per loro, la "democrazia" non è che una degenerazione della "repubblica", intesa come modello virtuoso in cui vi è una reale collaborazione costruttiva di tutti al bene dello Stato. Quando gli equilibri repubblicani si esauriscono nella lotta cieca e fine a sé stessa tra le fazioni contrapposte, la repubblica degenera in democrazia, un sistema demagogico ove la "doxa" pura e fine a sé stessa e la pancia del popolino (la parte "più incolta e inconscia riguardo le opportunità del proprio destino", per dirla con Proudhon) dominano la vita collettiva. Un sistema primariamente collettivista, ossia l'ambito in cui sguazzerà il socialismo successivo, ma che non poteva risultare più che indigesto ad un anarchico del calibro di Proudhon. Lo stadio degenerativo naturale successivo alla democrazia, ammonivano ancora i pensatori classici, è la tirannia. Non è un caso che Hitler e gli altri "grandi dittatori" del Novecento siano sorti proprio come argine al caos democratico, partoriti anch'essi dalla cultura politica della democrazia ideologica di massa, finendo col farsi padroni distopici dello Stato. Ma del medesimo Stato massificato, mosso dalle grandi passioni ideologiche, creato dalla democrazia moderna. 
3) Sulle analisi propriamente economiche di Proudhon sui meccanismi della proprietà privata capitalistica (il suo famoso aforisma "La proprietà è un furto" è riferito esclusivamente a tali meccanismi, ché il medesimo Proudhon afferma poi che "La proprietà è libertà"), premessa la fragilità della nostra preparazione in materia, ci sembra convincente la valutazione di chi tende a ridimensionare - anche in virtù del superamento di taluni fragili presupposti ipotetici ammessi allora dal pensatore - buona parte del discorso tecnico, conservando e valorizzando però comunque la sostanza della sua critica morale e socio-economica alle dinamiche della massificazione del lavoro salariato proletarizzante (caratterizzante, in forme diverse, sia il monopolismo capitalistico privato che quello statalista pubblico). 
4) Queste le parole di Proudhon in difesa del cattolicesimo, tratte da "De la justice dans la Révolution et dans l'Église" (1860): "Non solo la Chiesa crede in Dio più e meglio di qualsiasi setta, ma ella è la più sacra, la più completa, la più eclatante manifestazione del Divino, ed è l'unica che lo sappia davvero adorare. Ora, poiché né la ragione né il cuore dell'uomo hanno potuto liberarsi del pensiero di Dio, che è proprietà propria della Chiesa, la Chiesa, nonostante le agitazioni, è rimasta indistruttibile. Finché rimane una scintilla di fede religiosa nella società, la barca di Pietro può dirsi garantita contro il naufragio. La Chiesa cattolica è quella in cui il dogmatismo, la disciplina, la gerarchia, il progresso, realizzano meglio il principio e il tipo teorico della società religiosa, quella quindi che ha più diritto al governo delle anime, per non parlare naturalmente che di quella sola. Dal punto di vista religioso, principio di tutti i 'cristianesimi', il cattolicesimo è rimasto ciò che è più razionale e più completo, la Chiesa di Roma, malgrado tante e formidabili defezioni, deve ritenersi l'unica legittima".  
5) Il filone del socialismo utopico era sorto a seguito delle rivoluzioni borghesi e spesso aveva un elemento non solo anti-statalista ed anti-burocratico, ma anche pre-moderno e ruralista (si pensi a figure come Saint-Simon e soprattutto William Morris e John Ruskin), poi scomparso quando Marx nella sistematizzazione del "suo" socialismo riconoscerà il valore positivo della borghesia come classe con alto potenziale rivoluzionario, e dunque dell'apparato burocratico da essa creata (e del Progresso - col P maiuscolo - industriale della Tecnica), che sarebbe dovuto diventare anzi l'ariete mediante il quale introdurre (in un'ottica positivista di determinismo storico) il successivo step socialista. Questo primigenio socialismo rurale e romantico (cui è sostanzialmente assimilabile, sia pure come esponente "eccellente", lo stesso Proudhon) reagisce alla grigia civilizzazione borghese, si lega spesso a suggestioni romantiche e intuisce grossolanamente (causa un'antropologia pelagiana) diverse verità sociali. 

Commenti

Post popolari in questo blog

Il grande brigantaggio

Sul 2 giugno