Su Carlo Marx

 

"Risposta ad un'epoca che dispera, una risposta disperata, l'affermazione della pura immanenza da parte del marxismo è al contempo la sua origine, il suo motore e la sua meta. Marx corona l'ateismo volgare della sua epoca con un gesto di orgoglio metafisico. Il curatore fallimentare della filosofia hegeliana, discepolo dell'economia ricardiana e del socialismo francese, spettatore della proletarizzazione inglese e della reazione bonapartista, ma prima di tutto epigono dell'idealismo tedesco, consegna all'uomo i capisaldi dei beni dissipati dello Spirito, predicando ad una società disorientata il miraggio ingannevole di un paradiso terrestre."
(Nicolás Gómez Dávila, "Notas") 

Carlo Marx, per decenni ideologo massimo del movimento operaio internazionale, è diventato generica icona radical-chic (assieme ai più mediaticamente fortunati Che Guevara, Mao Zedong e Herbert Marcuse) dopo il Sessantotto, salvo poi perdere gran parte della sua popolarità dopo la caduta del muro di Berlino. 

Interpretato da Croce come un mero economista e da Gentile come un filosofo vero e proprio, a parer mio merita soprattutto il secondo giudizio. A patto di non dimenticare mai che in Marx il confine tra il filosofo e il "profeta" in senso messianico-positivista è labile. Il suo abusato aforisma secondo cui

"I filosofi hanno sino ad ora interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo."

non è solo rivendicazione del primato della prassi, ma di una vera e propria "fine della filosofia" sconfinante sul mero piano prassista e politico. Sull'onda dell'ateismo volgare e demitizzante delle classi erudite della sua epoca, Marx diviene il primo apostolo di una vera religione atea, che offre dapprima alla classe proletaria alienata e poi, prospetticamente, all'intera società, la dottrina seducente ed efficace di una vera e propria escatologia secolarizzata. 

La religione finisce così col perdere non solo ogni prospettiva veritativa, ma anche ogni altra possibile funzione nobilitante. Kant non era stato affatto un nemico della religione in quanto tale, benché avesse criticato il carattere auto-fondativo della metafisica tradizionale. Hegel, proseguendo sulla medesima strada, aveva svuotato la religione in sé della sua Verità religiosa, ma seguitando a riconoscerne rispettosamente le possibilità veritative sul piano di una forma grossolana di quella Verità espressa dalla filosofia. Marx, facendo incontrare questo slittamento hegeliano dalla religione alla filosofia con il materialismo di Feuerbach (oltre che con il polemismo razionalista e irreligioso dell'illuminismo francese alla Condorcet Naigeon), nega qualsiasi valore intrinseco della religione, riducendola da un lato a frutto puerile d'ignoranza, e dall'altro a consolazione delle classi dominate per la loro triste sorte (e opportuno strumento di quelle dominanti). Così che

"La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo."
(Carlo Marx, "Per la critica della filosofia del diritto di Hegel")

È dunque naturale che, essendo la religione "spirito di una condizione senza spirito", quando tale condizione muterà grazie al progresso della nuova società socialista, il nuovo spirito non produrrà più la consolazione effimera della religione, e l'Uomo non avrà più bisogno di inventarsi l'inganno di Dio potendo accedere al paradiso direttamente in Terra senza doverlo proiettare nell'Aldilà. L'umanità futura di Marx è atea perché l'ateismo viene visto come la condizione naturale dell'Uomo, e la religione come una stortura dovuta a contingenze storiche e sociali. Dio è visto gnosticamente come un inganno fine a sé stesso, con una sentenza inappellabile. Per i suoi stessi presupposti teorici il marxismo è intrinsecamente (e non solo contingentemente) inconciliabile con qualsiasi forma pura o spuria di trascendenza religiosa (men che meno cristiana). 

Il marxismo non è però un ateismo nichilista o disilluso come quello di marca azionista, ad esempio, bensì una fervente religione terrena¹, che recupera la concezione biblico-cristiana del Paradiso e della Redenzione ma la secolarizza ponendola nella Storia e nell'Aldiquà. In tal senso, è una religione gnostica come (ce lo ha insegnato Voegelin) ogni ideologia moderna (dal liberalismo al fascismo e al nazionalsocialismo), ma in modo ancora più evidente. 

Figlio di un'epoca in cui i nodi di contraddizione della società industriale vengono al pettine, Marx ha buon gioco a denunciare l'alienazione che essa produce e le coperture "sovrastrutturali" che la tutelano. Nell'aver individuato la fondamentalità della sovrastruttura ideologica nella nascita della società borghese, sta il suo maggior merito. Ma vittima suo malgrado anch'egli (e più di tutti) dell'Ideologia, mediante la dottrina del materialismo storico, trae da una constatazione contingente corretta una deduzione generale errata, svilendo l'intera Storia in mera lotta camuffata fra interessi di classe.  

"La struttura di una società, o di un'epoca, dipende da un'opinione, da un'attitudine assiologica. Un'interpretazione economica soltanto è scientifica quando il fondamento assiologico di una struttura è economico. Marx fece un metodo di un'osservazione esatta, ma storicamente circoscritta."
(Nicolás Gómez Dávila, "Textos") 

In questo, emerge come Marx abbia in mente un'idea antropologica di homo oeconomicus, non meno dei messianici teorizzatori del capitalismo assoluto. Capisce che il sistema socioeconomico creato dalla borghesia rivoluzionaria produce un proletariato alienato che può esserle fatale; capisce che le forze industriali agenti del capitalismo del suo tempo non ottengono il loro sviluppo pieno se non in una società in cui gli ostacoli di una reale proprietà sono stati aboliti. E infatti il massificante monopolismo capitalista non tollera, ma schiaccia la piccola proprietà. Vi sono anzi passi della sua opera in cui Marx coglie con particolare arguzia e puntualità d'analisi le meschinità ed i meccanismi sociali del nuovo sistema di dominio borghese:

"Dove è giunta al potere, la borghesia ha distrutto tutti i rapporti feudali, patriarcali, idilliaci. Essa ha lacerato spietatamente tutti i variopinti legami feudali che stringevano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato tra uomo e uomo altro che il nudo interesse, il freddo «pagamento in contanti». Ha annegato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell'esaltazione religiosa, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconica ristrettezza provinciale. Ha dissolto la dignità personale nel valore di scambio; e in luogo delle innumerevoli libertà faticosamente conquistate oppure accordate, ha posto come unica libertà quella di un commercio privo di scrupoli. In una parola, in luogo dello sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche, ha introdotto lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido."
(Carlo Marx e Friedrich Engels, "Manifesto del Partito Comunista")

Ma il suo retroterra ugualitario lo porta a scegliere come soluzione l'abolizione della proprietà privata stessa, vedendovi l'unica via per la futura redenzione ugualitaria dell'umanità. Il risultato è che il lavoro sporco del capitalismo (l'abolizione della proprietà privata individuale e/o familiare/associata in virtù di uno scenario di servaggio salariato anonimo e di massa) rimane immutato nel sistema marxista, ma ad opera dello Stato². 

È superfluo che Marx ponesse in un ipotetico futuro redento (in sé frutto di una proiezione arbitraria e positivistica nel futuro) lo scenario di una "proprietà personale" diffusa ugualitariamente fra tutti, con un surplus distribuito comunitariamente³. Le dinamiche di questo scenario sono lasciate nella penna, perché il pelagiano Marx le attribuisce implicitamente ad un uomo redento dalla condizione ingiusta della società capitalista e dunque per natura benigno, altruista e tendente all'uguaglianza. Il tutto è però frutto di un equivoco sulla natura umana, corrotta e tendente irrimediabilmente alla disuguaglianza. Il problema della giustizia sociale (concetto in sé da maneggiare con cura) va disgiunto da quello dell'uguaglianza, che in tante accezioni concretamente indotte può anzi esserne la negazione tout-court. Certo un primo passo sarebbe evitare quella limitante prospettiva economicistica che accomuna il marxismo e il capitalismo borghese da esso esecrato⁴. 

Di fondo, credo si possa trarre una grande conclusione complessiva: a parer mio, quanto di più auspicabile sarebbe una spoliticizzazione della società e dello Stato, intesa come de-ideologizzazione. Come ho già detto, facendo mia la valutazione di Voegelin, le ideologie moderne che si contendono la gestione della politica (da distinguersi naturalmente da una concezione "neutra" dell'ideologia intesa come mero sistema generale di pensiero) sono in realtà vere religioni gnostiche secolarizzate, che dietro il proposito di banale gestione concreta dei problemi interni alla comunità politica (il quale sarebbe lo scopo vero e proprio della politica nell'accezione platonico-aristotelica, la gestione della polis) nascondono il conflitto tra visioni d'insieme, di marca più filosofico-ideologica che politica, sul mondo e sull'interpretazione ideologica della società civile. Mediante questo meccanismo, la politica moderna ha invaso come un veleno la società, contaminando la vita degli individui come delle comunità e pretendendo di pianificarla secondo i propri schemi ideologici. 

In tal senso, l'approccio corretto sarebbe a parer mio quello spoliticizzante (de-ideologizzante), per un ritorno alla concezione platonico-aristotelica della scienza politica. Ma il marxismo, viceversa, è lo stadio ultimo e più asfissiante di politicizzazione-ideologizzazione della società e della politica, arrivando a pianificare la futura edificazione di un "paradiso" (terrestre) politico, con tanto di "testi sacri" e "profeti" materialisti. Questo insomma non avviene solo mediante l'onnipotenza dello Stato nella fase che le successive teorie leniniste delineeranno più precisamente come socialismo, ma nello stesso progetto di una società "redenta" secondo un progetto ideologico e politico che la dottrina marxista-leninista definirà come il vero e proprio comunismo

Nel marxismo le pretese tiranniche e usurpatrici dello Stato⁵ giungono alle loro estreme e più desolanti conseguenze, in vista di un progetto di "paradiso" che, quando realizzato, ha sempre condotto all'esatto opposto delle intenzioni di Marx, ossia una nuova tirannia peggiore ancora di quella precedente. I marxisti di scuola revisionista hanno attribuito tale "inconveniente" ad una banalizzazione delle teorie marxiste in funzione di una mera gestione di potere, e in parte questo può anche avere un elemento contingente di verità. Ma se ciò è avvenuto, la causa più profonda risiede già in Marx, e nel suo fraintendimento gnostico dell'antropologia umana, così che risultati nefasti saranno sempre organici a qualsiasi esperimento marxista. 

Note:
1) Non è per mera contingenza casuale, ma per caratteristiche sostanziali, se nel secolo successivo "il marxismo è diventato Chiesa, la sua teoria dogma, i suoi congressi concili, testi sacri i suoi manuali ideologici, evangelisti i suoi ideologi, eretici i suoi dissidenti e assolutismo papale il suo potere" (Gómez Dávila, "Notas"). D'altronde, "dietro la superficie esasperatamente razionalista dell'interpretazione scientifica e materialista della storia di Carlo Marx, ardono le fiamme di una visione apocalittica rovesciata. Cos'era quella rivoluzione sociale in cui riponeva ogni sua speranza se non una visione del Giorno del Signore secolarizzata dalla nuova mentalità del diciannovesimo secolo, in cui i ricchi e i potenti della Terra sarebbero dovuti essere condannati e i poveri e i diseredati innalzati in un universo rigenerato?" (Christopher Dawson, "Enquires in Religion and Culture"). 
2) Il nostrano Augusto Del Noce rivaluta paradossalmente il comunista antirevisionista ungherese György Lukács (1885-1971) nel sostenere la necessaria continuità tra filosofia di Marx ed Engels, politica di Lenin, politica di Stalin, e - aggiungiamo noi - politica della burocrazia gerontocratica del PCUS post-stalinista. "Il fattore fondamentale di continuità tra Marx e Lenin risiede in quella struttura tipicamente gnostica che equalizza il male all'ignoranza e il bene alla conoscenza e quindi divide il genere umano fra la massa degli ignoranti la ristretta cerchia degli 'illuminati', che nella riflessione leniniana sono gli intellettuali borghesi che per una non spiegata differenza dal resto della borghesia avrebbero dovuto guidare il popolo alla rivoluzione; in questo senso la politica leniniana, poi proseguita coerentemente con un pugno di ferro incarnazione della volontà generale dalla politica staliniana, è stata la più perfetta realizzazione dei programmi di Marx, e non invece un loro tradimento come vorrebbe una certa apologetica socialista" (Del Noce, "Il suicidio della rivoluzione"). La successiva burocrazia dei Breznev e degli Andropov è figlia della sclerotizzazione statalista ormai emancipatasi dalla necessità di un leader gnostico-rivoluzionario carismatico. Da segnalare, di Del Noce, anche gli studi sulla degenerazione del marxismo occidentale in "radicalismo [borghese] di massa", dopo il Sessantotto e la caduta del muro di Berlino e del "socialismo reale", e quelli (in totale sintonia con l'opera di Eric Voegelin) sulle origini culturali del marxismo, identificate remotamente nella secolarizzazione escatologica operata da Gioacchino da Fiore proseguita dall'illuminismo più radicale e dal socialismo francese, passando naturalmente per l'hegelismo. A tal ultimo proposito, il legame Hegel-Marx è stato piuttosto sminuito in senso trionfalistico nel corso del Novecento dalla cultura marxista-leninista sovietica e occidentale, nel quadro della dogmatizzazione del pensiero del capostipite sul piano dell'ampia totalizzante weltenschauung comunista. Questa dipendenza di pensiero è stata poi maggiormente sottolineata da una minoranza di marxisti (quali il già citato Lukács, Domenico Losurdo e ancor più radicalmente Costanzo Preve), oltre che dallo stesso Gómez Dávila ("Marx è prima di tutto l'epigono dell'idealismo tedesco"), ed è lo stesso Marx d'altronde a dichiarare, nell'ultima fase della sua elaborazione: "Io mi considero comunque ed in primo luogo un allievo di Hegel. Laddove mi sono allontanato dal pensiero del mio maestro, è stato solo per far poggiare sui piedi ciò che Hegel aveva poggiato sulla testa." ("Il Capitale" I, 1867). 
3) "Non dimentichiamo che Marx, benché uomo di profonda cultura, aveva una macroscopica mancanza: era sorprendentemente carente in ambito economico, di preciso nell'intendere il senso profondo dei meccanismi economici connessi a quelli sociali e alle altre scienze umane, come ammesso da economisti delle più disparate posizioni ideologiche. Ironicamente, proprio questa carenza, risultante in una semplicità argomentativa di base, ha contribuito alla fortuna politica del marxismo presso le masse". (Erik von Kuehenelt-Leddihn, "The Menace of the Herd"). 
4) D'altronde, il comunismo è la tappa naturale di quel processo di degenerazione utilitaria, atomista ed economicistica inaugurata dallo stesso ethos borghese mediante la dottrina del liberalismo democratico. L'appiattente standardizzazione sociale postulata dalla liberal-democrazia in politica e dall'utilitarismo illuminista in filosofia lasciava irrisolta una domanda spontanea: se l'eguaglianza è la strada della storia e la vocazione dell'uomo, perché non perseguire anche ed in primo luogo quella dell'uguaglianza economica? Per di più, il capitalismo monopolista e laissez-faire assunto dalla borghesia liberal-democratica al potere nell'Ottocento seguitava a produrre una proletarizzazione industriale dai dirompenti effetti sociali, che rendeva ancor più insistente questa domanda spontanea, che Marx seppe accogliere e sviluppare con insuperato tempismo e completezza. La sua opera è dunque il logico step successivo di quel medesimo percorso sovversivo e socio-antropologicamente malinteso inaugurato dai rivoluzionari borghesi. Il totalitarismo, come visto, è il suo strumento inverante naturale, e la sua convinzione determinista che al capitalismo industriale dell'Ottocento sarebbe subentrato per logica conseguenza il socialismo pianificato non è quindi totalmente peregrina da un certo punto di vista - anche se non sorprende, visto quanto richiamato sopra sulle capacità di astrazione antropologico-economica di Marx (anche in virtù del sopraggiunto superamento di certi assunti ricardiani su cui basò allora gran parte delle proprie teorie in ambito di economia politica), che le sue previsioni tecniche si sarebbero rivelate poi totalmente errate quanto a tempi e luoghi d'avvenimento.  
5) Per "Stato" s'intende qui non l'apparato giuridico-istituzionale ma la sua involuzione, in epoca moderna, in apparato burocratico (vedi tra gli altri Albert J. Nock, "Our enemy, the State").

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