Solaro della Margarita e il "vecchio Piemonte"

 


"Addio, vecchio Piemonte!
(Salvator Gotta)

Il Piemonte racchiude in sé una contraddizione: è, all'interno dell'Italia, una terra da sempre "di confine", come il Friuli e il Trentino. Quest'ultimo è storicamente influenzato dalla cultura tedesca, il Friuli da quella slava, e il Piemonte, naturalmente, da quella francese (savoiarda). Al contempo (qua sta la "contraddizione") è tra tutti gli Stati italiani quello che ha guidato il processo di unificazione statuale d'Italia nell'Ottocento.

Il nodo di questa contraddizione viene al pettine soprattutto guardando alla figura dimenticatissima (ma tutt'altro che dimenticabile) di Clemente Solaro, conte della Margarita, il leader della destra "reazionaria" piemontese a metà Ottocento, e principale oppositore interno del progetto che voleva fare dello Stato sabaudo il motore e la "testa di ponte" della rivoluzione italiana. Non si deve pensare a Solaro come ad un grigio burocrate, un politico fine a sé stesso, ma come ad un vero e proprio intellettuale (ma Eugenio Corti ci correggerebbe, dicendo "uomo di cultura" per evitare l'imparentamento con la categoria illuminista degli "intellettuali") a tutto tondo. Un autentico piemontese del vecchio Piemonte

L'espressione "vecchio Piemonte" risale all'omonimo romanzo di Salvator Gotta, significativamente dedicato proprio a Solaro della Margarita. S'intende il Piemonte pre-risorgimentale, il Piemonte prima che prendesse coscienza della propria presunta "missione storica" di raccogliere il "grido di dolore" sollevatosi d'ogni parte d'Italia. Una regione subalpina tranquilla, sulle sue, fatta di montagne, paesi, cittadine, coi suoi contadini, notabili, nobili, preti, conti, duchi, re; una regione certo italiana (nel multiforme senso autentico della parola, non in quello irreale e appiattitore che gli conferiranno i rivoluzionari), geograficamente e - dal '500 - anche nella sua lingua ufficiale, ma legata a doppio filo alla regione francofona della Savoia, e legata ad una dimensione alpina che la poneva ai margini dell'ampio e variegato contesto italiano, in un forte contatto storico con l'Oltralpe¹. Anche la lingua che vi si parlava comunemente, ossia naturalmente il piemontese, era all'epoca molto più influenzato lessicalmente dal francese (pur serbando una base strutturale linguistica gallo-italica, naturalmente), tanto da far parlare i linguisti di vecchio piemontese

Gotta vide in Solaro il simbolo di questo "vecchio Piemonte". Nato a Mondovì nel 1792, vide da ragazzino l'occupazione francese della sua terra. Il re, Carlo Emanuele IV, era stato costretto a rifugiarsi in Sardegna mentre Piemonte e Savoia venivano annessi alla "grande nazione rivoluzionaria". Secondo il suo diario personale, fin dall'età di 7 anni nacque in lui il vivo disprezzo per ogni forma di demagogia e sovvertimento sociale. Le sue letture di ragazzo oscillavano tra Edmund Burke, Joseph de Maistre e Vittorio Alfieri, col minimo comun denominatore dell'opposizione alla demagogia rivoluzionaria. Riparato nel Granducato di Toscana per sfuggire alle persecuzioni anti-nobiliari, studiò a Siena dai padri scolopi. Quando Napoleone firmò il decreto con cui stabilì che tutti i piemontesi sarebbero dovuti subito rientrare in Patria, per il giovane Solaro fu una vera festa: poteva tornare nel vecchio Piemonte, pur oppresso da anni di occupazione umiliante da parte degli storici rivali d'Oltralpe. 

In quegli anni, si affinò in lui una concezione politica conservatrice, giungendo a fondare in prima persona la Società Italiana, con l'obiettivo di riunire la forza di tutte le aristocrazie piemontesi e di tutt'Italia contro le idee "francesi". Quando nel 1814 Torino fu finalmente liberata, e il Re Vittorio Emanuele I fece il suo trionfale ingresso in città, Solaro descrisse la scena con particolare commozione, intitolando: "Il giorno della liberazione". 
Inizia lentamente la sua carriera diplomatica, particolarmente brillante, che lo porterà a farsi ambasciatore sabaudo in varie corti italiane. Qui conosce le realtà dei vari Stati pre-unitari: FirenzeRomaNapoli. Tutte città che ama profondamente, dedicando ad ognuna di esse parole ferventi nel diario che continua a tenere. Ma il suo cuore è sempre tra le montagne del vecchio Piemonte. Verrà richiamato nella patria cìt-a per essere finalmente nominato ministro degli esteri dal nuovo re salito al trono nel 1831: Carlo Alberto di Savoia-Carignano. Il precedente re, Carlo Felice, era morto senza figli, e con lui il ramo principale di Casa Savoia, lasciando il trono al ramo cadetto dei Carignano. 

L'intesa tra il Re e il suo ministro degli esteri, in questi anni, è particolarmente feconda, perché Carlo Alberto mostra piena solidarietà con il pensiero conservatore di Solaro: supporta i legittimisti in Francia, i carlisti in Spagna, i cantoni cattolici svizzeri contro quelli protestanti. A tal proposito, anzi, a Carlo Alberto giunge dai cantoni cattolici la richiesta di un vero e proprio intervento in loro sostegno, a tutela della loro storica libertà, promettendo in cambio una dedizione di fedeltà a Casa Savoia. Solaro della Margarita spinge perché il Re accetti, ma Carlo Alberto cova già il seme di un proposito di intervento per liberare l'Italia (risalente agli anni della sua formazione "progressista" da parte della madre ginevrina, e tipica in generale della tradizione del ramo Carignano, non a caso sempre guardato con sospetto da quello principale ora estinto), e rifiuta. Se avesse seguito il consiglio di Solaro, probabilmente i cantoni cattolici della Svizzera si sarebbero uniti allo Stato sabaudo, consolidandone la natura di Stato alpino multietnico e multinazionale. 

Solaro è devoto all'ordine instaurato dal congresso di Vienna, coltiva buoni rapporti con l'Austria di Metternich ma ne vuole evitare le continue ingerenze negli affari sabaudi. A tal proposito, dice Montanelli:

"In una certa storiografia risorgimentale, Solaro passa per un reazionario austriacante, ottuso e carrierista. Ma il ritratto non corrisponde all'originale. Reazionario era, non soltanto come nobile ma anche come cattolico e fermamente legato alla tradizione dell'altare. Tuttavia, la qualifica di austriacante non gli conviene. Dell'Austria amava il regime ma ne aveva sempre combattuto le interferenze. Zelante servitore dello Stato (e gran galantuomo, incapace di bassezze, che faceva il suo mestiere con sacerdotale e disinteressato impegno), ne aveva sempre difeso la sovranità e indipendenza anche dall'Austria."
(Indro Montanelli, "L'Italia del Risorgimento")

Quando nel 1846 il neo-eletto Papa Pio IX propone il progetto di una Lega Doganale che porti ad una graduale confederazione italiana, Solaro appoggia entusiasticamente il progetto: come visto dalla sua formazione, egli è favorevolissimo ad una maggior integrazione degli Stati d'Italia. Ma Carlo Alberto tituba nuovamente, ancora affezionato all'antico proposito di una "crociata italica" condotta con la benedizione del papato. In questo spirito, il re aderisce alle idee neoguelfe di Cesare Balbo e soprattutto di Vincenzo Gioberti, oltre a ritornare all'antico liberalismo della sua gioventù. Allo scoppio delle cinque giornate di Milano il Re rifiuta il consiglio di Solaro (un intervento in sostegno dell'Austria, chiedendo in cambio le regioni della Lombardia occidentale più assimilabili al Piemonte orientale), concede la costituzione e licenzia il ministro degli esteri. È la fine della brillante carriera diplomatica del Conte Solaro della Margarita. Eppure, ci raccontano le cronache (e noi non fatichiamo a creder loro) che Carlo Alberto, tentennante fra rivoluzione liberale e tradizione monarchica, abbia pianto nel vedere Solaro inginocchiarsi per l'ultima volta offrendogli l'ultimo baciamano d'etichetta prima dell'abolizione dell'antico cerimoniale. 

Ma è proprio ora che comincia la parte più appassionata della carriera di Solaro: una parentesi fatta di pamphlet polemici contro l'anticlericalismo e l'espansionismo della nuova classe dirigente liberale piemontese. Nel suo "Memorandum storico-politico" critica tutte le misure laiciste del governo, definendo tirannica l'espropriazione statale dei beni della Chiesa e prendendo le difese dell'istituto salesiano di don Giovanni Bosco. Sostiene che l'unico modello sensato di unità d'Italia, coerente con la sua storia, sarebbe solo un'unificazione federale o addirittura confederale, compiuta di comune accordo. Qualora invece il Piemonte decidesse di espandersi ai danni degli altri Stati, "la nostra simpatia per l'Italia sarebbe la simpatia del ladro per le ricchezze non sue, che ne uccide il padrone per impossessarsene"². L'ex ministro, pur stigmatizzando l'astrattismo degli "italianissimi", precisa molto accoratamente di parlare egli stesso da italiano³, ma al contempo ricorda che il Piemonte fa parte di uno Stato che "non è e non ha da essere esclusivamente Italiano"⁴: la sua è una vocazione binazionale, a cavallo delle Alpi che separano Francia e Italia. Tale è sempre stata. 
Nei confronti dell'Austria rifiuta l'antagonismo inaugurato dai governi risorgimentali, e continua a proporre un'amicizia vigile sulle eventuali ingerenze della potenza viennese, incitando a formare un'intesa con gli altri Stati italiani volta ad una futura soluzione della "questione lombardo-veneta" per via diplomatica (portando ad un regno lombardo-veneto asburgico indipendente com'era stato per la Toscana post-medicea). 

L'ultimo Solaro è un battagliero autore di pamphlet e interventi parlamentari infuocati. Protesta per le irregolarità illiberali dei "liberali" nell'annullare le elezioni ove avevano vinto candidati conservatori, e protesta da una parte contro la cessione di Nizza e Savoia (le più antiche provincie sabaude, salutate con righe di toccante cordoglio tutto sabaudo) e dall'altra contro l'invasione del Granducato di Toscana, dei ducati centro-settentrionali, del Regno delle Due Sicilie e persino dello stesso Stato Pontificio. Il suo ultimo intervento⁵ sarà dedicato alla protesta per la repressione violenta delle manifestazioni di piazza San Carlo nel 1864 contro lo spostamento della capitale da Torino a Firenze, ma lo fece ormai da "esterno" al Parlamento, dal quale si era significativamente dimesso per protesta nel 1861. Perduta la tradizionale natura di piccola e tranquilla capitale regia subalpina, la città si avvierà a rinascere coi decenni quale grigio capoluogo industriale. Negli ultimi anni il conte continuerà a scrivere brevi testi familiari e a "difendere criticamente" l'ormai obsoleta figura di Carlo Alberto, ribadendo di non poter da un lato condividere la scelta che prese infine, e dall'altra di non poter negare, in virtù di questa scelta, la statura della figura così come la conobbe lui. 

Morì nel 1869, poco prima della breccia di Porta Pia che avrebbe certamente raccolto il suo più grande disappunto. Si dice che morendo, sentì i colpi di cannone che annunziavano la nascita dell'erede al trono, il futuro Vittorio Emanuele III, figlio del principe di Piemonte Umberto e di sua moglie Margherita. L'anziano Solaro, servitore leale e devoto per una vita di Casa Savoia, anche quando lo aveva deluso, chiese a gran voce ai figli, in dialetto piemontese, di informarsi se il nuovo nato fosse un maschio o una femmina. Quando gli annunciarono che si trattava di un maschio, e che dunque Casa Savoia aveva un nuovo erede, mormorò sorridendo: "Dio sia lodato che è nato un principe...", e spirò assieme al vecchio Piemonte, mentre il nuovo Piemonte si accingeva a ben altre "imprese". 

"Io fui durante il mio lungo ministero l’alfiere destinato a portare l’antica azzurra bandiera della nostra Real Casa di Savoia, e a portarla finché sorgesse inatteso e sciagurato il giorno di avanzare inalberando il vessillo della rivoluzione..."
(Clemente Solaro della Margarita, "Memorandum storico-politico")


Note
1) C'è chi si è spinto a ipotizzare addirittura un carattere più francese che italiano del Piemonte. Ciò non corrisponde tuttavia al vero, ché il Piemonte appartiene linguisticamente all'area "gallo-italica" (la stessa di Lombardia, Emilia, Liguria, ed in parte Romagna e Veneto), e storicamente a quel settentrione italiano che fu chiamato a lungo "Langobàrdia" (abbreviato in "Lombàrdia", da cui deriva l'attuale "Lombardìa"; il termine iniziò tuttavia a restringersi geograficamente a partire dagli albori dell'età moderna, e già nel 1510 ad esempio il rimatore chierese Piero Jacomello si riferiva alla "Lombardia" come a qualcosa al di là del confine), che più anticamente si chiamava "Cisalpina" e più recentemente "Padania" (l'uso del vocabolo è di molto anteriore alla nota accezione leghista-bossiana, e si trova già in Gian Lodovico Bertolini nel 1903). Nel Medioevo, il termine "Piemonte" veniva già talvolta usato per indicare la zona subalpina dell'area padana, ma senza grande precisione linguistico-culturale. Sarà proprio l'affermazione della dinastia sabauda a consolidare il termine quale riferito alla zona subalpina, anche in virtù della sua uniformità linguistico-culturale. I contatti con la Francia (con la condivisione con la Savoia per secoli del medesimo sovrano, Stato e persino bandiera), in particolare l'area d'oil arpitano-occitano-provenzale, fanno parte integrante del DNA storico piemontese, ed emergono nei numerosi francesismi assenti negli altri dialetti gallo-italici (oltreché nel patois diffuso nel Piemonte occidentale), ma restano una peculiarità "di confine" di un Piemonte organico all'area padana, e quindi in definitiva in senso largo italiana e non francese: la lingua italiana, o per meglio dire il toscano erudito uscito vincente dalla disputa linguistica col canone di Bembo, fu proclamato lingua ufficiale-ministeriale in Piemonte già nel '500 dal grande duca sabaudo Emanuele Filiberto I, che viceversa non si sarebbe mai sognato di privare la Savoia del suo idioma d'Oltralpe. Il Ducato di Savoia era uno Stato multinazionale, sul modello medievale del Sacro Romano Impero, un'evidenza storica macroscopica ma a lungo ignorata dalla storiografia "sabaudista" italiana (che giunse a riscrivere le "scomode" origini sassoni e "imperiali" della dinastia, sostituendo irrealmente a Gerolt di Sassonia quale antico capostipite il più nazionalisticamente corretto Arduino d'Ivrea). 
2) Clemente Solaro della Margarita, "Le questioni di Stato", 1853. 
3) "Amo anch'io l'Italia, e sia che mi trovi in Firenze od in Napoli, principalmente in Roma, venero le memorie di tanti sommi ingegni, di tanti eroi che in esse fiorirono, e godo che, nato di qua dell'Alpi, possa esclamare in qualunque di quei luoghi: sei pur anche mia, terra felice, semenzaio di virtù e valore. Ma al pensiero mi torna il nome di quelle provincie che il Po e la Stura irrigano, ed esclamo: bello è pure appartenere a queste terre, né per esse diminuisce lo splendore della Patria comune. Il nome di Piemonte nulla perde in faccia ai forti di tutte le età che dall'Italia prendono il loro. Guardiano dell'Alpi si chiamava un dì il Sire sabaudo: tal vanto non l'avremmo avuto mai se dalle altre parti d'Italia non divisi non avessimo formato un regno a parte. Amo anch'io l'Italia, ma come gl'Ateniesi e gli Spartani amavano la Grecia, né percio rinunziavano alla gloria della propria lor Patria. Traditore sarebbe stato presso quei liberi popoli chi avesse predicato di rinunciare all'amore della propria repubblica, chi avesse detto: abbandonate le memorie cittadine, riuniscasi in un sol pensiero la Grecia. [...] Ma al contempo dicasi che il Piemonte parte fa d'uno Stato che non è e non ha da essere esclusivamente italiano. I dominii dei nostri Sovrani non son tutti di qua delle Alpi. Nobil culla dell'Augusta Casa è la Savoia, chiaro nome ebbero i progenitori dei nostri prìncipi prima ancora di fissare in Italia il seggio. Memorie gloriose, memorie di simpatia, di comuni interessi, da tanti secoli vigenti, fanno un dovere a noi Piemontesi di considerar come fratelli quanti dal Lago di Ginevra al Monte Cenisio hanno la nostra stessa vita politica, e sono anzi i nostri primogeniti come nazione. La bandiera di Savoia è la stessa nostra; nelle varie guerre del Piemonte i valorosi di Savoia han versato il sangue insieme a noi, han diviso i nostri pericoli e le nostre sventure, furono a parte dei nostri vantaggi e dei nostri trionfi. Separarci dalla Savoia sarebbe uno sfregio per la Real Famiglia che ne porta il nome. Se la Casa di Savoia vuol diventare esclusivamente italiana, ripudia, non in fatto forse ma in massima, la più antica porzione del nobil suo retaggio." (Clemente Solaro della Margarita, "Le questioni di Stato", 1853).
4) Clemente Solaro della Margarita, "Memorandum storico-politico", 1851. 
5) Clemente Solaro della Margarita, "Sguardo politico", 1864.

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