Che Guevara tra la guerriglia e le T-shirt

 

Il 14 giugno 1928 nasceva l'argentino Ernesto Guevara de la Serna, soprannominato Che Guevara (o anche solo il Che) per via di un intercalare che usava spesso nella sua parlata. Passato alla Storia quale rivoluzionario comunista e terzomondista, principale artefice, assieme a Fidel Castro, della rivoluzione cubana culminata nella nascita della Cuba socialista nel 1959, Guevara sarà destinato a diventare un'icona pop del grande consumismo capitalista, campeggiante su ogni T-shirt radical-chic che si rispetti. Un'icona mediatica e consumista paragonabile solo al logo della Coca-Cola. In ciò, pur senza sua colpa, Che Guevara è l'ideale metafora della degenerazione del comunismo in radicalismo borghese chic, il cosiddetto "partito radicale di massa", per dirla con Augusto Del Noce, che con il suicidio della Rivoluzione ha portato alla fine del miraggio comunista per adagiarsi sulle derive nichiliste della cultura woke

Che Guevara nasce in provincia di Santa Fe in un'abbiente famiglia borghese: il padre è un imprenditore, la madre è un'attivista femminista, atea ed anticlericale. In queste origini si nota che Guevara "veniva" per ironia della sorte da quel radicalismo borghese in cui confluirà la sua figura mediatica dopo la morte. Eppure, Guevara ripudierà tutto quanto c'era di borghese nelle sue origini. Appassionato di letteratura, ama Jack London, Pablo Neruda, Emile Zola, Charles Baudelaire, Paul Verlaine. E intanto, conosce i testi di Marx ed Engels. Tuttavia, racconterà egli stesso, nella sua prima giovinezza le grandi cause sociali non lo interessano, e non esce da un generico pacifismo antimilitarista organico alla formazione radicale. Lo studente universitario Ernesto arriva addirittura ad accusare gli studenti marxisti di settarismo e dogmatismo. 

Presa la laurea di medico, Guevara decide di montare un piccolo motore sulla sua bicicletta, e inizia un viaggio solitario per tutto il Sud America. Le vicende di questo viaggio verranno raccolte nel diario personale "Latinoamericana", ed è proprio in questo periodo che avviene la sua adesione alle tesi marxiste, per reazione alla povertà estrema ed indigenza delle popolazioni sudamericane. Il suo è un marxismo contradditorio: da un lato "passionale" e libertario, più simile ad un peculiare populismo tropicale tinto di rosso, dall'altro coltiva l'ambizione di aderire al marxismo-leninismo ortodosso, quello di Stalin. 

"A El Paso ho avuto l'opportunità di passare attraverso i possedimenti della United Fruit, convincendomi ancora una volta di quanto siano terribili queste piovre capitaliste. Ho giurato davanti a un ritratto del vecchio e compianto compagno Stalin che non mi fermerò finché non vedrò annientate queste piovre capitaliste."

Questo "stalinismo" del Che (che ha imbarazzato e imbarazza i suoi apologeti libertari e libertini) derivava probabilmente dal fatto che il suo retroterra di base razionalista, scientista e positivista lo portava ad essere notevolmente affascinato dalla pretesa "scientificità" del marxismo ortodosso, e in Stalin vedeva il più grande campione di questa ortodossia "scientifica" del marxismo, oltreché dell'opposizione più radicale e oltranzista alla borghesia capitalista. Ciò lo porterà anche ad attacchi frontali verso il trotskismo, la principale "eresia" condannata a suo tempo dalla Terza Internazionale staliniana. 

D'altronde, come iniziamo a vedere, Che Guevara era distante dal santino radicale che ha proliferato dopo la sua morte. Sotto le bandiere sessantottine, vi fu persino qualche cattocomunista idolatrante che quanto ad accostamenti giungeva a scomodare nientemeno che il Signore in persona, in virtù di una certa somiglianza fisica e della presunta anima "redentrice" di entrambi. Fu lo stesso Guevara a rispondere per le rime:

"Mi si paragona a Gesù, ma il paragone è impreciso. Lui si è fatto mettere in croce ed è morto, io chi mi vuol mettere in croce lo crivello di proiettili prima che possa farlo!"

Ma Che Guevara d'altronde disse anche:

"L'odio come fattore di lotta, l'odio intransigente contro il nemico, che permette all'uomo di superare le sue limitazioni naturali e lo converte in una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere. I nostri soldati devono essere così. Un popolo senza odio non può vincere."

Qualora questa citazione venisse mostrata, omettendone l'autore, ad uno degli apologeti woke dell'icona guevariana, probabilmente ne sarebbe indignato e l'attribuirebbe a Hitler. Eppure, era il Che che parlava, e a muoverlo era l'idea coerentemente marxista secondo cui la futura redenzione del proletariato internazionale non potrà venire che da una fomentazione dell'odio di classe. Questo è uno dei fattori che rendono radicalmente inconciliabile la "morale" marxista e quella cristiana, ad esempio, al di là dei discorsi superficiali dei cattocomunisti di ieri e di oggi. 

Eppure, ugualmente guevariane (e sincere) sono anche citazioni di ben altro tenore: 

"Fremo d'indignazione profonda ogni volta che vengo a contatto con un'ingiustizia ed una sofferenza in qualsiasi parte del mondo."

Andremo a breve a spiegare questa apparente contraddizione di tono. Ad ogni modo, il persistente oscillare di Guevara tra radicalismo e stalinismo è ancora evidente nell'iniziale simpatie per il presidente radicale del Guatemala, Arbenz. Proprio in questo periodo, peraltro, fa la conoscenza di Hilda Gadea, un'intellettuale esiliata per le sue idee comuniste, che diventerà la sua prima moglie. Ma anche del giovane cubano Fidel Castro, con cui nascerà un'intesa destinata a durare e a portare alla rivoluzione cubana. Dopo la parentesi in Guatemala e un'altra breve in Messico, il Che arriva finalmente a Cuba, dove Raùl Castro lo mette in contatto con Fidel, che ha intanto fondato il Movimento 26 luglio determinato a rovesciare il governo militare di Fulgencio Batista

Batista è un mero despota militare, legato all'influenza degli Stati Uniti in Sud America, il quale aveva prostrato Cuba. Il suo era un regime corrotto, colluso con la mafia, che aveva ridotto l'isola a mero "magazzino" di cocaina e prostitute per i miliardari statunitensi. Il tasso di disoccupazione era altissimo, la popolazione rurale viveva nella sporcizia mentre un'élite oligarchico-militare gozzovigliava. La rivoluzione cubana, partita nel 1953, nel 1959 trionfa: era inevitabile che ciò avvenisse. Gli USA non vogliono scomodarsi per salvare un personaggio compromesso e impresentabile come Batista, il cui regime si basava sul mero potere per il potere, senza alcun afflato ideale o ideologico. Il socialismo castrista al contrario ha un forte afflato ideale, capace di far presa su una popolazione stremata, facilmente sedotta dal "sol dell'avvenire" dell'uguaglianza sociale. Bisogna intendersi: le ombre tinte di spietato odio di classe che adombrano la figura mitizzata di Che Guevara non negano il suo sincero afflato umanitario personale verso gli oppressi di Cuba e di ogni dove. È lo stesso umanitarismo marxista che contempla quegli elementi (ecco risolta l'apparente contraddizione di cui sopra), vedendoli anzi come necessari per la lotta di redenzione escatologica terrena del genere umano. E d'altra parte, già Robespierre aveva sentenziato, nell'avviare la macchina repressiva del primo "Terrore rosso" della storia contemporanea: "Proprio in quanto che amo gli oppressi, devo odiare radicalmente gli oppressori". Guevara gli fà eco, dicendo che: "Sentimento più forte dell'amore per la libertà è solo l'odio per chi la ostacola". L'intersecarsi di amore e odio è una costante del sentire marxista, e a dirla tutta può ricordare inaspettatamente (ma non troppo) il motto dei battaglioni del fascismo repubblicano (e d'altronde, anche in questo caso, socialista e rivoluzionario): "Senza odio non c'è amor". 

Ma proprio questi elementi emergono nella condotta di Che Guevara. Idealista sincero e disinteressato, che si concepiva quale vero e proprio sacerdote della religione rivoluzionaria, Che Guevara si mantiene perfettamente onesto e pulito. Ad interessarlo è solo la causa redentiva del comunismo, non il successo personale né men che meno l'arricchimento. Sostiene, nell'apice del proprio idealismo collettivista dogmatico, che: "La singola persona non vale nulla. L'importante è la Rivoluzione". Rifiuta lauti incarichi governativi nel nuovo governo castrista, non compra alcun lussuoso rolex come farà il sodale Fidel (in futuro titolare di un patrimonio personale di 900 milioni di dollari), e rimarrà semplice fautore del processo marxiano. Con tutto ciò che concerne. E' a questo periodo che risalgono i suoi processi sommari a danno dei contadini proprietari che non vogliono cedere la propria terra per la radicalissima riforma agraria di Fidel, nel segno dell'uguaglianza coercitiva del marxismo, e di tutti coloro che sono sospettati di solidarietà passata con l'abbattuto regime batistista. Alle polemiche che divampano nell'opinione pubblica americana e occidentale riguardo a tutto ciò, Che Guevara risponde che "sì: stiamo fucilando e continueremo a fucilare. [...] Per il socialismo dovranno scorrere fiumi di sangue!". 

Secondo la lettura edulcorante, Che Guevara lascia Cuba in dissenso con Castro perché quello cubano sta degenerando in un regime dispotico e dittatoriale. In realtà, come ormai probabilmente avrete capito, il Che era lontano da questa sua caricatura radical-libertaria e anarcoide. Da esponente del regime cubano, fa la conoscenza di Mao Zedong e Kim Il-Sung, dittatori neostalinisti di Cina e Corea del Nord, e instaura con loro un rapporto di perfetta consonanza. In parte, anzi, è proprio per stalinismo che matura la sua critica all'amico Fidel: diffida infatti del suo avvicinamento all'Unione Sovietica di Nikita Chruscev, che aveva criticato gli errori dello stalinismo e che a parere di Guevara (e a ragione) voleva estendere sull'isola caraibica un'influenza imperialista speculare a quella statunitense dei tempi di Batista. Va peraltro notato che Castro, in realtà, eviterà l'inconveniente, guidando il movimento degli Stati non-allineati ai due schieramenti, tantoché il regime cubano sopravvivrà al crollo del muro di Berlino e sopravvive tuttora. 

Ma la ragione più grande è che Che Guevara non era fatto per essere figura di spicco di una classe dirigente, e decise di seguire la sua vocazione di giramondo determinato ad accendere o assecondare micce rivoluzionarie. Lasciata Cuba, si recherà in Congo e poi in Bolivia, per combattere il regime militare di René Barrientos Ortuño dando manforte alla guerriglia boliviana. Castro, peraltro, lo sostiene attivamente, lungi dall'aver spezzato il loro legame in ragione delle riserve del Che. Ma, catturato da Félix Rodríguez, spia della CIA in Bolivia, fu condannato a morte per ordine diretto di Barrientos. Dinanzi al plotone d'esecuzione, Che Guevara si mostrerà coraggioso, dicendo "Addio figli miei, Aleida, Fidel, fratello mio". La raffica di mitra sarà esplosa da Mario Terán. 


Dopo la morte, come detto, Che Guevara diventerà ridondante icona radical, tramite la mediazione del Sessantotto. I sessantottini, che esponevano le loro magliette con la sua faccia stilizzata tratta dalla celebre foto "Guerrillero heroico" di Alberto Korda, erano figli di borghesi, che erediteranno le sostanze paterne (diceva Ennio Flaiano che la borghesia italiana in particolare, distratta, indolente e prudente, ama i suoi figli viziati e ribelli), gente della risma degli annoiati studentelli ricchi e comunisti (e conformisti) stigmatizzati da Pasolini nel loro opporsi agli onesti e umili lavoratori della polizia. Una figura (nel bene e nel male) seria come quella di Guevara non meritava certo questi fans, che probabilmente avrebbe disconosciuto. Non potendo più predicare a parole, per interesse concreto personale, l'uguaglianza sociale e la fine del capitalismo, costoro una volta cresciuti muteranno spontaneamente l'afflato anticapitalista di Che Guevara nel modernismo liberal della cultura woke (come si dice in America), che sostituisce al tema della liberazione sociale quello della liberazione civile. Il silenzio sull'oltranzismo armato di Che Guevara o sulla dura pagina dei campi di lavoro forzato per oppositori e omosessuali attivi nella Cuba post-rivoluzionaria è funzionale al mantenerne la lucida coerenza rivoluzionaria trasformandone però l'oggetto di fondo. Se la tirannia castrista a Cuba impose il culto della personalità di Che Guevara (più efficace di quello del vivente Castro) quale vero e proprio Cristo ateo della rivoluzione (mentre in parallelo perseguitava la religione ed arrivava negli anni '70 a proibire persino il Natale), in Occidente un Che Guevara all'acqua di rose è sempre presente alle manifestazioni radical

Queste le vicende. Che giudizio dare di Che Guevara? I cronisti intelligenti lasciano a Dio e alla Storia giudizi tanto impegnativi, consci che solo loro sono poi autorizzati a chiederne il conto. Ma sulla parabola umana ognuno può farsi un'idea. La mia è che Che Guevara, la cui effimera parabola umana tanto deve ai mali che affliggono da sempre l'America latina, abbia metabolizzato e portato avanti con una soggettivamente sincera determinazione l'opposizione ad una società ingiusta e alienante (quella del capitalismo monopolitistico non solo latinoamericano) secondo gli schemi che conobbe in famiglia (quelli "radicali") e quelli che conobbe nelle sue esperienze rivoluzionarie (quelli comunisti). Peccato che questa medicina fosse persino peggiore della malattia

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