Maurras e l'Action Française

Il 20 giugno del 1899 nasceva il movimento dell'Action Française, la cui analisi può essere molto interessante per capire la genesi dei "fascismi", ma che con essi non può pienamente identificarsi. Lo storico tedesco Ernst Nolte ha evidenziato le anticipazioni che dei temi del fascismo c'erano nell'Action Française, ma questo non deve far dimenticare i notevoli punti di divergenze, che porteranno il movimento, peraltro, a sentirsi sempre qualcosa "a sé" rispetto ai regimi nazifascisti, e ad accettare solo parzialmente una prospettiva di collaborazione con essi.  

Leader e simbolo dell'Action Française era Charles Maurras. Nato a Martigues nel 1868, si formò sui testi di Hyppolite Taine e Auguste Comte, aderendo al positivismo. Al contempo, proprio tramite tale mediazione scoprirà il pensiero di Joseph de Maistre e Louis de Bonald, molto stimati dai padri del positivismo. Così il giovane Maurras accompagnerà ad una presa di posizione filosofica positivista (ispirata soprattutto all'"ultimo Comte") una parallela scelta politica di tipo restauratore, monarchico e antidemocratico, divenendo fautore di un ripristino della monarchia francese in sostituzione all'instabilità cronica seguita all'età delle rivoluzioni e protrattasi fino ai suoi giorni. 

Il vivace monarchismo francese era entrato in crisi dopo la scomparsa di Enrico V di Chambord, una figura davvero nobile¹, rimasto purtroppo senza figli. Da allora, la maggior parte dei legittimisti borbonici (che erano stati nemici dell'usurpatore Luigi Filippo) riconobbe legalmente i diritti del ramo orléanista, rappresentato oggi da "Giovanni V" (tranne alcuni irriducibili, i "Bianchi di Spagna", tuttora sostenitori di "Luigi XX"; in futuro forse diremo due parole di queste dispute dinastiche). La prospettiva di una reale restaurazione monarchica in Francia era improbabile, perché anche gli schieramenti conservatori si stavano ormai spostando su posizioni di accettazione più o meno convinta dell'istituto repubblicano. Il monarchismo francese dunque, al contrario di quello spagnolo e portoghese e di quello italiano², non scese a compromessi con le ideologie più o meno richiamantesi all'eredità rivoluzionaria, ma rimase attaccato alla prospettiva restauratrice. Persino gli stessi Orléans, storicamente liberali (Filippo "Uguaglianza" aveva persino votato a favore della morte di Luigi XVI, e suo figlio Luigi Filippo era stato usurpatore e vero e proprio golpista filo-rivoluzionario nel 1830), si erano infine adagiati sull'orientamento prevalente tra i monarchici di Francia, che ora con l'Action 
Française guadagnava un battagliero giornale ed un battagliero partito politico, non mosso più da mero nostalgismo ma da un programma rinnovato e ben definito. 

L'Action Française criticava la Modernità politico-giuridica per il suo ugualitarismo astratto e inconsistente, per il suo cosmopolitismo internazionalista e per il suo laicismo, proponendo al contrario una monarchia forte e decisa, ispirata al modello di grandeur del Re Sole (del quale era però criticato l'accentramento burocratico³), il superamento della lotta di classe tra borghesi e proletari in virtù di un ripristino dei corpi intermedi (già soppressi dall'assolutismo), e una dottrina definita "nazionalismo integrale" ("nationalisme intégral"). Su quest'ultimo punto, possiamo già cogliere un elemento di Maurras che si distanzia dalla dottrina legittimista elaborata dal Conte di Chambord e dai suoi intellettuali di riferimento. Anche costoro intendevano restaurare una monarchia cristiana (non concepita però secondo il carismatismo cesarista sognato dannunzianamente da Maurras, ma introducendo anzi una costituzione e un sistema bicamerale), e anch'essi volevano un ripristino dei corpi intermedi soppressi dall'assolutismo. 

Ma il "nazionalismo integrale" di Maurras era un elemento assente nel monarchismo legittimista tradizionale, che sognava il ritorno all'ordine consuetudinario locale medievale. Al contrario, mediante il positivismo, era un elemento indubbiamente "rivoluzionario", perché trattava la nazione in termini assolutamente "moderni", dal punto di vista della filosofia politica. Maurras, un vero campione della politologia comparata, coglieva per certi aspetti esemplarmente il carattere organico del governo monarchico, rapportato al fazionarismo disgregante del parlamentarismo democratico, e con un notevole realismo ammoniva coscienziosamente i monarchici di Francia dall'errore rivoluzionario del perfettismo: la sospirata restaurazione del Trono non andava vista come una panacea dei mali, ma come "le moindre mal, la possibilité du bien" ("il minor male, la possibilità di qualcosa di buono"), in una visione condivisibilmente pessimista della politica. Eppure, proprio un analista così profondo non era riuscito a cogliere della monarchia un aspetto fondamentale, quello della sua inconciliabilità intrinseca con il nazionalismo (non a caso criticherà nazionalisticamente l'eventualità, quasi certa nelle monarchie tradizionali, di una regina consorte di provenienza straniera a livello nazionale e talvolta etnico).  

Agnostico e razionalista, Maurras propugnava il cattolicesimo come mera religione civile, e stimava l'età pre-moderna solo perché positivisticamente "organica" rispetto alla "meccanica" modernità. Questo non escludeva peraltro, da parte di Maurras, una esplicita preferenza ideale del paganesimo classico greco-romano, che a parer suo superava in ogni aspetto il cristianesimo. Anzi, Maurras operava una distinzione tra "cristianesimo" e "cattolicesimo". Il primo era a parer suo una setta semitica di origine ebraica, portatrice di messaggi di sovversione e degenerazione (il maurassismo era rigidamente antisemita, riallacciandosi al filone franco-tedesco dell'identitarismo antisemita ottocentesco, talvolta anticristiano ed in odore di paganesimo e talvolta marcionita, come nel caso illustre di Wagner), mentre il secondo aveva avuto il merito di svuotare il cristianesimo dei propri contenuti sovversivi e degenerati trasformandolo in un involucro esteriore dell'antico spirito pagano della Romanità. Per questo motivo, pur considerando il cristianesimo in sé in origine una degenerazione ebraica (ponendosi retrospettivamente dalla parte dei suoi persecutori romani), Maurras valorizzava moltissimo il cattolicesimo romano quale instrumentum regni, necessario ad evitare i pericoli del materialismo e del laicismo e ad instillare nei francesi il senso del sacro, della tradizione, della coesione familiare e nazionale. 

Saranno proprio queste posizioni, peraltro, a insospettire la Chiesa cattolica su Maurras fin dai tempi di S. Pio X, il quale metterà all'Indice dei suoi scritti proprio con l'accusa di anteporre la nazione alla religione, e con la paura che essi potessero instillare falsi presupposti positivisti agli ingenui che per spirito patrio e monarchismo vi avessero aderito, attratti magari dagli elogi al cattolicesimo nazionale. Nel 1925, Pio XI scomunicherà l'Action Française per il medesimo motivo, deludendo molti cattolici conservatori francesi e attirandosi le ire dei dirigenti positivisti del partito. Nel 1939 Pio XII deciderà di ritirare parzialmente la scomunica per ragioni pratiche, cioè proprio per non indebolire inutilmente il cattolicesimo francese in un momento di forte pericolo bolscevico, ma ci terrà a ribadire la persistente validità in linea di principio della scomunica firmata dal predecessore. 

Un altro elemento distintivo del maurrassismo, accanto ad un antisemitismo virulento di marca social-darwinista che lo porterà in prima linea sul fronte anti-dreyfusardo (Maurras ammetterà che ad interessargli non era tanto la colpevolezza o meno di Dreyfuss, ma il mero accusarlo perché ebreo; la fissazione decennale di Maurras per Dreyfuss continuerà fino ancora agli anni Quaranta, scadendo ridondantemente nel paranoico caricaturale), era l'antigermanesimo, ancora erede del revanscismo francese anti-tedesco. Questo porterà Maurras e i suoi ad una posizione ambigua dinanzi al nazionalsocialismo: da un lato lo apprezzavano per il suo nazionalismo antisemita, dall'altro lo guardavano con fastidio perché tedesco. Questo aspetto emergerà ancor più evidentemente con la nascita del regime di Vichy, quando Maurras e l'Action Française sosterranno tendenzialmente il Maresciallo Pétain pur nell'umiliazione di dover sottostare ai tedeschi che avevano marciato su Parigi occupata. Proprio per via del collaborazionismo con Vichy, Maurras subirà un processo nel dopoguerra, da cui riuscirà a salvarsi. Negli ultimi mesi di vita, si convertirà peraltro personalmente al cattolicesimo dopo una vita passata a considerarlo mero instrumentum regni

Maurras era un pensatore intelligente, che può offrire diversi spunti brillanti. Tuttavia, il complesso della sua personalità è gravemente compromesso. Già nella sua condanna del romanticismo, in virtù dell'adesione al positivismo⁴, si legge il filo rosso che lo porterà, senza accorgersene, a sfociare in quella stessa linea rivoluzionaria che tanto voleva condannare. Di fondo, il tutto si può sintetizzare dicendo che Maurras non era un conservatore ma un nazionalista⁵.

Note
1) Non condivido affatto la lettura caricaturale di Enrico di Chambord derivante dal suo noto rifiuto della bandiera tricolore che pregiudicò la salita al trono. Quell'episodio fu effettivamente un eccesso di zelo, ma Enrico era, oltreché un galantuomo, un vero e proprio pensatore in prima persona del monarchismo francese, padre di un progetto monarchico in linea con la tradizione e al passo coi tempi. 
2) Eccezion fatta naturalmente per il carlismo in Spagna, l'integralismo lusitano in Portogallo e il monarchismo nazionalista alla d'Annunzio in Italia, futuro incubatore del monarco-fascismo di Federzoni e De Vecchi. 
3) Su questo punto, Maurras coglie nel segno: "Oggi troviamo la libertà ed i suoi rischi in alto, cioè in quegli affari di particolare importanza che impegnano l'avvenire della Nazione e la sicurezza dello Stato, mentre la rigidità è presente, senza utilità alcuna, in basso, nel terreno in cui al contrario la discussione, la varietà, l'iniziativa personale di ogni cittadino sarebbero non solo senza pericoli, ma vantaggiose; si è messa quest'autorità sovrana e decisiva sin nel dettaglio più insignificante dei rapporti dei privati con l'amministrazione!". 
4) L'adesione al positivismo porta Maurras ad una sociologia ed antropologia fallaci, traballanti tra materialismo scientista e tecnicismo reificante, oltreché come visto ad un'impostazione letteraria e culturale naturalista ed anti-romantica (ciò non toglie peraltro che nel positivismo stesso, sul quale la nostra valutazione globale è decisamente negativa sia quanto al metodo che quanto alla sostanza, vi siano delle sfumature interessanti e degne di considerazione, segnatamente nell'ammirevole sistematizzazione di pensiero d'un Taine). Sull'onda del naturalismo letterario caro al positivismo, Maurras condanna nel romanticismo una "volgare letteratura sentimentalista e democratica", ignorando totalmente quanto la letteratura romantica soprattutto anglosassone (Blake, Wordsworth, Shelley, ecc.), francese (Chateaubriand!) e tedesca (Heine, Hölderlin, Novalis, ecc.) abbia rappresentato una fecondità sacrale in un periodo di sciagurati "disincanti". 
5) Personalmente, la mia lettura del moderno nazionalismo è negativa. Da un lato, riconosco l'afflato sincero che lo animava e che contrastava la deriva nichilista (si pensi alle pagine di un Codreanu, o di un De Rivera, o di tanti altri). Dall'altro, tuttavia, mi appare comunque come un mero idolo, storpiatura del reale patriottismo di origine classica e medievale, e seguo la lettura (fra gli altri) di Erik von Kuehnelt-Leddihn nel giudicarlo un fenomeno collettivista, rivoluzionario e "tribale". La posizione di Nicolás Gómez Dávila in merito è particolarmente acuta, da un lato riconoscendo nel nazionalismo come passione individuale i caratteri di quel volkgeist romantico di cui parlava Herder ("Il nazionalismo ha rappresentato l'ultimo spasmo dell'individuo prima della morte grigia che lo attende. Facciamo credito al nazionalismo di almeno due secoli di spontaneità spirituale, di libera espressione dell'anima nazionale, di una ricca diversità storica, senza cui già dominerebbe sull'Europa e sul mondo un impero tecnico, razionale, uniforme"; ma al contempo proprio questo aspetto è indice artificioso di una certa decadenza: "La comparsa del nazionalismo in una nazione è sintomo dell'agonia della sua originalità spontanea"), dall'altro indicando nel nazionalismo come fenomeno politico addirittura una delle tre persone della "Trinità democratica- assieme all'individualismo e al collettivismo - dell'epoca ideologica e massificante moderna, ed una delle tre "ipostasi dell'egoismo". 

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