L'ora delle decisioni irrevocabili

Il 10 giugno 1940, Mussolini si affacciò al balcone di palazzo Venezia e lanciò la rivelazione fulminante, che colse di sorpresa molti, dopo settimane d'incertezze e oscillamenti.

"Un'ora segnata dal Destino batte nel cielo della nostra Patria: l'ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente che spesso hanno ostacolato la marcia e insidiato l'esistenza stessa del popolo italiano. [...] L'Italia proletaria e fascista è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano indiano: Vincere! E vinceremo! Per dare un lungo periodo di pace nella giustizia all'Italia, all'Europa, al Mondo! Popolo italiano! Corri alle armi! E dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!"

Il discorso, interrotto in continuazione dall'entusiasmo della folla di piazza Venezia, risuonerà beffardo nell'Italia prostrata da una guerra condotta ad armi impari, che si risolverà poi in uno stremante conflitto civile dopo un umiliante cambio di fronte in corsa. 

Benché il Duce, con un discorso dal sapore corridoniano e corradiniano, presentasse la guerra come un vero e proprio naturale conflitto di civiltà tra l'Italia e gli Alleati occidentali, di fatto si trattava della mera entrata dell'Italia nella guerra di Hitler. Una guerra che verteva sull'opposizione tra i progetti geopolitici del Führer e l'opposizione che ad essi veniva dal fronte Alleato. L'Italia non aveva un vero ruolo in tutto ciò, se non quello di alleato (già materialmente inferiore) della grande potenza germanica. 

D'altronde negli anni Venti, quelli della grande transvolata atlantica di Italo Balbo, pareva che l'Italia fascista seguisse tutt'altra pista: Mussolini era allora filo-francese e filo-austriaco, anti-inglese ed anti-tedesco, e il suo obiettivo era quello di rompere l'asse franco-inglese avvicinando a sé la Francia. Nel 1934, Mussolini era stato il primo leader europeo a mettere in guardia dalla pericolosità di Hitler e del suo espansionismo aggressivo revanscista. Amico di Dollfuss, aveva difeso l'indipendenza di Vienna da questo stesso espansionismo, arrivando a minacciare Hitler di uno scontro frontale mostrandogli le truppe italiane al Brennero pronte ad intervenire nel caso di un'aggressione all'Austria privata del suo "piccolo cancelliere" da golpisti nazisti. Erano gli anni del consenso, in cui il regime aveva saputo svolgere un efficace lavoro di riordinamento e in cui Mussolini criticava l'antisemitismo (definendo "illeggibile" il "Mein Kampf"), salutava "the great American people" ed era guardato in Occidente con interesse ed una certa ammirazione. Dopo la salita al potere del NSDAP, era stato Mussolini a mettere sull'attenti le diplomazie anglo-francesi, sollecitandole a non sottovalutare il pericolo del revanscismo tedesco dopo l'eccessiva punizione di Versailles. 

Era stata la guerra d'Etiopia ad avvicinare il Duce al Führer. D'altronde, i due regimi poggiavano su un parallelismo ideologico, ma quello fascista sarebbe potuto essere (com'era stato negli anni Venti) un mero "regime d'emergenza", un autoritarismo normalizzatore, e non un totalitarismo compiuto come quello tedesco (e quello sovietico, che Hitler odiava e imitava)¹. E ancora: avrebbe potuto scegliere, come Dollfuss, di essere un regime cristiano e isolazionista, rifiutando la prospettiva razzista e quella espansionista. Ma le sanzioni franco-inglesi all'Italia in Etiopia convinsero il Duce della giustizia del modello hitleriano, e della necessità per l'Italia di avvicinarvisi sia geopoliticamente che ideologicamente
In questo spirito erano stati firmati il Patto d'Acciaio, l'Asse Roma-Berlino-Tokyo, le leggi razziali del 1938 (deplorevolissime, pur se innegabilmente imparagonabili alla feroce legislazione tedesca), e infine l'entrata in guerra. 

Questo irrigidimento totalitario di Mussolini e del fascismo aveva portato a nuove, pesanti frizioni con i due istituti che, nella famosa lettura di Renzo De Felice, fungevano da "moderatori" al totalitarismo italiano: la monarchia e la Chiesa. Mussolini aveva riso alle battute di Hitler e di Goebbels sul Re durante la loro visita a Roma, e iniziava a non sopportare più quello "Sciaboletta" che gli soffiava il posto di capo di Stato, invidiando il Führer che non aveva di questi problemi. Al contempo, Mussolini diede nuovamente sfoggio del proprio anticlericalismo giovanile dinanzi alle proteste di Papa Pio XI contro il viaggio di Hitler a Roma e il razzismo legislativo, come testimoniato dalle memorie dell'ultimo segretario del PNF Carlo Scorza². 

Prima di quel 10 giugno, erano stati proprio il Re e il Papa a far pressione sul Duce perché desistesse dal proposito bellico, ma senza alcun successo. Stando alle testimonianze di Indro Montanelli ("Io e il Duce"), pressoché tutti i gerarchi fascisti, da Ciano a Balbo, da Grandi a Muti, erano contrari all'entrata in guerra, e solo per quei meccanismi psicologici ben illustrati da Frédéric Le Moal ("Gli uomini di Mussolini") nessuno di loro si azzardò a prendere posizione contro la sua avventatezza fino al 25 luglio. Ad ogni modo Mussolini sperava in una guerra-lampo al seguito della quale l'Italia si sarebbe potuta comodamente adagiare al tavolo delle trattative dalla parte del vincitore, ma così non andò. Le decisioni irrevocabili saranno revocate, e l'Italia uscirà con le ossa rotte da un conflitto che non le apparteneva, o meglio, che avrebbe potuto non appartenerle. Se le appartenne, la colpa fu sia del regime che dell'asse franco-inglese, e soprattutto della politica estera inglese, e risale al 1935³.

Note
1) Un conto è un regime autoritario emergenziale che sopprime le lotte fazionarie in momenti di crisi, in cui serve provvisoriamente un'azione decisa e sciolta dell'esecutivo per un'opera di risanamento morale e sociale - un'idea ritenuta talvolta necessaria e salutare già dal diritto romano; ed un conto è un regime totalitario, che punta ad un rivoluzionario paradigma politico basato su di un impianto istituzionale cesaristico, e a forgiare un vero e proprio "uomo nuovo". Un disegno estremamente gnostico e rivoluzionario. Esempi di quest'ultimo caso furono senz'altro il regime nazionalsocialista e quelli comunisti del "blocco orientale". Esempi del primo furono ad esempio la Spagna di Primo de Rivera o il Cile di Pinochet, e in generale tutti i regimi militari dei caudillos sudamericani. Se il regime emergenziale ha il suo antesignano ideale in Silla, quello totalitario lo ha naturalmente nel Cesare tornato vittorioso a Roma dopo la morte di Pompeo (sono semplificazioni storiche di parallelismi storici imperfetti, ma valgono l'esempio), due personaggi non a caso appartenenti a fazioni politiche opposte della repubblica romana. A cavallo dei due modelli si situa il fascismo di Mussolini. Quest'ultimo iniziò la propria attività di governo come normalizzatore emergenziale, ma si avvicinò progressivamente al modello totalitario. Il nazismo, benché nato dopo il fascismo e su imitazione di esso, lo superò di gran lunga (per una serie complessa di ragioni) quanto a sclerotizzazione totalitaria, con lo sciagurato corollario, sopra citato, di una velleità imitativa di Mussolini nei confronti del modello hitleriano, che peggiorò notevolmente le medesime aspirazioni totalitarie del regime italiano. Sul concetto di "dittatura d'emergenza" nel diritto romano in rapporto al fascismo italiano e alla categoria hegelo-gentiliana e mussoliniana di "Stato totalitario", Julius Evola, "La concezione dello Stato e il totalitarismo", su "Il Conciliatore", aprile 1959, mentre per un'analisi specialistica del totalitarismo incompleto italiano Renzo De Felice ed Emilio Gentile. 
2) Mussolini ebbe poi secondo molte testimonianze una conversione religiosa al cattolicesimo negli anni della RSI (dopo una gioventù segnata da un ateismo blasfemo e militante, ed una maturità orientata ad un approccio machiavellicamente "maurassiano" verso la religione), soprattutto per l'influenza del ricordo crepuscolare della fede religiosa della madre, la maestra elementare Rosa Maltoni. Queste testimonianze sono state raccolte in uno studio di don Ennio Innocenti, seriamente documentato ma poco noto, dal titolo "La conversione religiosa di Benito Mussolini".
3) Beninteso che, anche una volta isolato dalle sanzioni franco-inglesi (senz'altro ipocrite) a seguito della guerra d'Etiopia (sull'opportunità stessa della quale si potrebbe discutere ampiamente a monte), Mussolini avrebbe potuto comunque agire come agiranno, molto più saggiamente, Francisco Franco e Antonio Salazar. 

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